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lunedì 25 agosto 2014

Una tripletta inattesa, una tripletta sofferta: le tre canzoni di Massimo Zanetti

L'amicizia con quest'uomo bolognese è iniziata male, malissimo, ma è proseguita peggio: prima mi si è infilato a casa, da perfetto sconosciuto, per quasi due settimane, costandomi l'inferno in droghe varie (pistacchi, pizze, arancini etc..). Poi ha avuto la brillante idea di inguaiarmi, tramite processo battesimale, nell'evoluzione spirituale (almeno sulla carta dice che questo è il ruolo del patrino...) di quel capolavoro di sua figlia Anita. Infine, lo stronzo, mi ha fatto un sottile ma continuo lavaggio del cervello, per anni, con l'obiettivo di spingermi a fare un benedetto passo attorno al quale - lo ammetto, ok - da anni rigiravo come un cretino. Per cui, questa tripletta, arrivata con sommo ritardo rispetto alla legittima richiesta, è più che la benvenuta: è necessaria, è ineluttabile, è fondamentale per la continuazione delle presenti pagine e della mia stessa vita. Per cui, gentili tutti, ecco a voi la tripletta inattesa e sofferta di un uomo esplosivo. Ecco a voi la tripletta di Massimo Zanetti!
  • Futura - Lucio Dalla (Dalla, 1980) Si può mettere in musica l'atto di fare l'amore e trasformarlo in poesia? Lucio Dalla l'ha fatto. Questo basta per rendere unica questa canzone. Metteteci pure che è la canzone che mi è venuta istantaneamente in mente quando ho saputo di aspettare una figlia, ed ecco perchè è nella mia tripletta, al primo posto.
  • Walk on the wild side - Lou Reed (Transformer, 1972) Non la metto in lista perchè è una canzone bellissima e immortale. O perchè è famosa. O per il suo testo controverso. La metto in lista perchè mi ricorda un momento cruciale della mia vita. Un pomeriggio piovoso e universitario, sdraiato sul letto, con la testa che mi scoppia di formule. Metto su la cassetta (si, la cassetta...) e ascolto Lou Reed. Mi rilasso, anche troppo forse, ma poi, finalmente, nella mia testa si fa ordine e trovo i collegamenti mancanti. Chiamo Max e Alessandro e gli spiego dov'è che stiamo sbagliando. Poi mi ri-sdraio nel letto e rimetto la cassetta da capo. Anche per oggi, il lavoro, è fatto.
  • Get back - Beatles (Let it be, 1970) La prima volta che ascoltai questa canzone rimasi sconvolto: non c'entrava niente con la visione stereotipata che avevo dei Beatles. E non c'entrava neanche niente con il resto delle canzoni (comunque tutte stupende) contenute nel resto di Let it be. "Che ci fa un pezzo così qua in mezzo? Ma non erano i Rolling Stones quelli cattivi e rock?". E quella pausa al minuto 2.34? Fantastica! Ho ascoltato Get back milioni di volte, e ancora mi sorprende.

mercoledì 4 giugno 2014

La tripletta di un uomo d'onore. La tripletta di Marco Vitale

E' stato il primo a promettermela, la tripletta, e anche se non è stato il primo a fornirmela, chi se ne frega? E' un onore per me ospitare in queste sgualcite pagine le tre canzoni di un uomo la cui esperienza di vita e di musica non potrei eguagliare, io, neanche in tre vite. Un uomo che ha masticato pessima new wave, atroce rumore, esasperante elettronica minimalista. Un uomo che ha girato, errato, vagato e che poi, a sorpresa, è tornato al nido. Signore e signori, con grande affetto, la tripletta di Marco Vitale!
  • Dead souls - Joy Division (Still, 1980) Una gita scolastica e un libro con una copertina nera. Chissà dov'è finito ora. Le mie prime traduzioni dall'inglese e questo pezzo fatto di alternanze di malinconia e disperazione, rumore e cadenzata eleganza. Da queste parti, si pongono le basi di futuri decenni di inquietudini in musica.
  • Svefn-g-englar - Sigur Ros (Agaetis Byrjun, 1999) Datemi una stanza con una terrazza. Da li posso ammirare un paesaggio sterminato, solitario, illuminato da una gelida luce. Ma l'aria è tersa, mi viene voglia di uscire, camminare fino a perdermi sulla linea dell'orizzonte, verso il silenzio.
  • Il veliero - Lucio Battisti (La chitarra, il contrabbasso, la batteria eccetera, 1976) Hanno detto che questo è un prototipo di house music. Hanno anche detto che Flea l'ascoltava ripetutamente durante le sedute di Blood Sugar Sex Magic. Non so se queste cose siano vere, ma di certo perdersi nella sezione ritmica, qui, è puro piacere. Della serie: se Battisti fosse nato ad altre latitudini...

giovedì 16 gennaio 2014

La tripletta di Antonio Scannaliato

Primo ospite del 2014, e difficilmente poteva andarci peggio... ricciuto, barzotto, noioso e logorroico, ecco a voi la tripletta di Antonio Scannaliato! 
  • Maddalena - Mannarino (Supersantos, 2011) Visionaria rivisitazione, non esattamente ortodossa, di una delle figure più controverse del best seller La Bibbia. Ironico, graffiante, geniale, umano. "Ma il paradiso mio sta solo nei tuoi fianchi": dentro di noi, in fondo, ognuno vorrebbe essere un pò Giuda.
  • Firestarter - Prodigy (The fat of the land, 1997) Non riesco ad ascoltarla senza avere voglia (almeno) di pogare. Mi fa sentire vivo, cattivo, con un'energia che neanche ricordo di avere (più?). Una sera l'ho ascoltata diverse volte, subito dopo aver visto Natural Born Killers, e ho deciso che era il caso di restare a casa e non uscire per un pò. Alla pulizia della mia fedina, io, ci tengo!
  • L'autostrada - Daniele Silvestri (Unò-dué, 2002) Una poesia d'amore ricca di immagini, profumi, disperazione, paure, desideri. Una voce penetrante che riempie il cervello di immagini. Posso giurare di averlo sentito davvero, l'odore del pane alle olive.

lunedì 23 dicembre 2013

La tripletta di Laura Iacuzio (Rev Rev Rev)

Rullino i tamburi, squillino le trombe! Da un bel pò non avevamo un illustre ospite fra di noi ma l'attesa è valsa davvero la pena. A sottoporci oggi la sua favolosa tripletta è infatti Laura Iacuzio, cantante, bassista, tour manager, addetta alle PR e chissà quant'altro dei magnifici e rumorosi e modenesi Rev Rev Rev, di cui vi ho già consigliato l'ascolto. Per cui, dicevamo, rullino i tamburi, squillino le trombe, ecco a voi le tre canzoni di Laura Iacuzio!

  • Le dernier jour - Asalto al parque zoologico (APZOO, 2009) Il primo concerto dei Rev Rev Rev, nel gennaio 2012, venne introdotto dalle note di questo pezzo degli Indochine magistralmente shoegazizzato dagli Asalto al parque zoologico, band argentina semplicemente incredibile. Beh, con una partenza come questa, cosa potrà mai andare storto?
  • Red - King Crimson (Red, 1974) Ci sono alcuni dischi che quando li scopri esplodono nella tua vita colorandone integralmente un tratto. Per me, con Red, è stato così, e per un periodo la sua atmosfera faticosa, cervellotica e contorta è stata veramente una colonna sonora. Proprio quel genere di album che non puoi dimenticare. Anche se magari non lo ascolti mai.
  • Rapace - Afterhours (Hai paura del buio?, 1997) Una gemma, tratta da Hai paura del buio? - uno degli album più innovativi degli ultimi decenni -, di una band che ormai considero come dei vecchi amici ai quali voglio bene comunque, qualunque cosa combinino.


martedì 22 ottobre 2013

Le tripletta di - udite, udite! - Daniele Zito

Non è perchè il suo blog Sei Cose ispira e commuove ogni giorno milioni di blogger in tutto il mondo (fra cui me), nè tanto meno perchè il suo romanzo-capolavoro La solitudine di un riporto verrà presto citato in tutti i manuali alla voce decostruzione. Non è neanche per i suoi baffi eleganti, nè per la laurea in informatica specializzazioni occulte, nè per il sorriso sornione e oppiaceo. E' perchè gli ho chiesto di fare la sua tripletta e lui, gentilmente, l'ha fatta. Signore e signori, le tre canzoni di Daniele Zito!

  • Hoist that rag - Tom Waits (Real gone, 2004) Io, ogni volta che la gente parla di musica, mi domando sempre se abbia realmente senso perdere tempo a discutere di canzoni, generi, stili e tutta quella roba lì se poi, quando meno te lo aspetti, dal fondo di un bar sbuca fuori un signore di Pomona capace di prendere in mano un microfono e soffiarci dentro con questa voce qui. Mica la puoi raccontare o classificare una voce così, figurati se puoi capirla. Puoi soltanto ascoltarla. Meglio se in silenzio.
  • Non importa - Wolfango (Wolfango, 1997) C'era ancora il Consorzio Produttori Indipendenti, allora. Forse per questo l'idea di mettere assieme un basso, una batteria e due voci stonate, oltre che dei sonagli, non sembrava tanto folle. In tutto i Wolfango sono riusciti a far uscire due dischi, Wolfango e Stagnola, due piccoli capolavori, poi più niente, troppo sgangherati per riuscire a resistere oltre. Chissà che fanno adesso. Mi piace pensare che prima o poi torneranno a creare altri giocattoli mostruosi.
  • J.S.Bach's Partita #2 - Glenn Gould (The art of piano) Cos'è un artista? E' uno che si mette al piano a provare e riprovare sempre le stesse cose fino a diventare perfette, e pazienza se non gli riesce, - se ogni tanto impazzisce attorno qualche passaggio, se le dita non vogliono saperne di seguire la partitura - lui comunque resta al piano, e se proprio non ce la fa più a battere sui tasti, prima si alza, poi borbotta, poi ancora guarda perplesso fuori dalla finestra domandandosi Cos'è che non va? Porca puttana, cos'è che non va?, e trenta secondi dopo è di nuovo al piano a provare e riprovare.

mercoledì 9 ottobre 2013

La tripletta (della follia) di Gloria Patané


Nuovo ospite, oggetto di un folle e lungo corteggiamento: Gloria Patané ci propone una tripletta sulla follia, una tripletta insana, una tripletta da folli! Buon ascolto, e buona lettura. Folli...
  • Song 2 - Blur (Blur, 1997) Una sera piena di stelle, di rientro da una scampagnata, giornata di vino rosso e reggae e alla fine carciofi arrostiti, la parte migliore di ogni scampagnata. Avevamo cantato e riso e parlato tutta la giornata, e quindi non c'era più bisogno di parole. Zitti e assorti, nel buio della campagna ennese, ma nessuno di noi era lì in quell'abitacolo intriso di musica che si spandeva oltre il finestrino. Non posso dire a cosa stessero pensando gli altri, ma di una cosa sono certa: eravamo tutti consapevoli che quel momento non sarebbe più tornato. E stavamo zitti, mentre questa canzone urlava nella notte una folle rassegnazione.
  • Tourette - Nirvana (In utero, 1993) Urlavo invece quando ero giovane e bella, no, bella no, ma giovane si, e urlavo dalla mia testa e dicevo cose parole e sentimenti senza senso, e la gente pensava che fossi pazza, ma probabilmente era solo una sindrome di Tourette non diagnosticata. E quando Kurt urlava nessuno pensava che fosse pazzo, perchè lui oltre ad essere giovane era pure bello. E si sa, i belli raramente sono pazzi, i pazzi sono quelli con i denti storti e i capelli sfilacciati e mezzi caduti e i vestiti sdruciti. E urlano sconcerie e nessuno ci fa caso, se sei bello invece tutti si preoccupano per te. Meno male che poi sono guarita, perchè con i mei denti storti e i capelli sfilacciati e i miei vestiti sdruciti, se mi fossi sparata un colpo di fucile nessuno ci avrebbe fatto caso.
  • Lu rusciu te lu mare - Alla Bua (Alla Bua, 2002) Noi femmine abbiamo una pazzia diversa da quella dei maschi. I pazzi maschi spesso sono violenti, alcune volte geni e altre solo pazzi che non c'è niente da fare. Quando una femmina è pazza invece è solo isterica: il nostro male ha origine sempre e solo li, da quel pezzo del nostro corpo che da la vita e quando secca e muore ci cambia l'anima e ci fa impazzire. Ma quando una donna è pazza è libera di cantare e di ballare, se ne frega di chi la vuole curare, e allora possono stare li gli uomini a suonare e battere sui loro tamburelli e cercare di farla rinsavire... canta femmina folle, femmina pazza, femmina isterica, che la follia è un dono degli Dei.

mercoledì 18 settembre 2013

La tripletta di Giusi Di Placido

Senza nulla togliere ai precedenti e futuri ospiti, quello di oggi è veramente speciale. Innanzi tutto, perchè è la prima donna a regalarci la sua tripletta del momento. Poi, perchè senza di lei questo spazio non sarebbe mai esistito. Quindi, miei cari tutti, aguzzate la vista, attivate l'udito, ecco a voi le tre canzoni di Giusi Di Placido!
  • I feel just like a child - Devendra Banhart (Cripple crow, 2005) Indian soundtrack: non era il treno per Darjeelling ma per Varanasi. Il classico motivetto che ti si incastra nelle vertebre ad ogni balzo dei vecchi carrozzoni lerci indiani. Mi faceva ridere e dimenticare il caldo atroce.
  • Birds - Sophia (Technology won't save us, 2007) Technology won't save us, con le sue classiche ballate mi porta dentro il mio vulcano, e mi culla con le sue melodiche vibrazioni. Troppo poco pop? No, no...

mercoledì 4 settembre 2013

La tripletta di Enrico Verger

Nuovo ospite, nuova sconvolgente tripletta. Enrico Verger - il famigerato Enrico Verger! - vola alto, e ci regala tre perle da un passato solo sulla carta (e sul calendario) non troppo lontano. Una tripletta romantica, una tripletta epica, una tripletta per eroi di altri tempi!
  • Now my heart is full - Morrisey (Vauxhall and I, 1994) Un approdo consolatorio per tutti coloro che passarono giorni, mesi, anni nella propria cameretta ascoltando l'Elvis degli outsiders. E tutti quelli che amo, prima o poi, si stenderanno su un divano in analisi. IN MOZ WE TRUST !
  • Spirit of 76 - Alarm (Singolo, 1986) Pura appartenenza a conferma che è la musica che ti sceglie e non l'inverso. Quanto era difficile nell'85 condividere la passione viscerale per una band alla quale Bono Vox, e compagnia suonando, riuscirono ingiustamente a prendere gli ultimi posti disponibili. Il mai abbastanza rimpianto Joe Strummer oggi salirebbe volentieri su un palco assieme a Mike Peters per insegnare alle "nuove" generazioni come si racconta la vita. Le dinamiche meritocratiche sono da sempre trasversalmente dubbie.
  • Monument - Sound (All fall down, 1982) E' paura quella che senti dentro di te? Parlavi a te stesso, Adrian, ed era così dannatamente trasparente. La fragilità uccide le anime più nobili. Una lezione per tutti. L'ennesima.

venerdì 19 luglio 2013

La tripletta di Giuseppe Scuderi

Secondo ospite delle nostre pagine, Giuseppe Scuderi è un sentimentale senza speranza. Parla, parla, si mette in posa da duro ma poi... eccolo lì, proprio un sentimentale senza speranza...
  • Fake plastic trees - Radiohead (The bends, 1995) Vpiace quella band radicalmente sperimentale, eppure da milioni di copie, che contamina la musica rock con ogni sorta di diavoleria elettronica, quella band che, a forza di sperimentare, è giunta ormai ai confini dell’impenetrabile, quella band che risponde al nome di Radiohead? Ecco: allora questo pezzo non fa per voi. Questi sono i Radiohead prima di diventare i Radiohead, prima della svolta, i Radiohead quando piacevano a me! L’album, il loro secondo, fu suonato dal vivo allo stadio Cibali di Catania, dopo i Flor e prima dei REM, estate1996, in un concerto insuperato che fece la storia della città; il pezzo, la quarta traccia, è considerato (da me) un capolavoro assoluto (usiamola pure l’iperbole, che tanto è gratis): un crescendo struggente di musica e parole, tra senso di finzione e ricerca d’autenticità, che spodesta CreepChe dire d’altroIf I could be, who you wantedif I could be, who you wanted… all the time… all the time…”
  • The idea of north - Shellac (At action park, 1994) Inizio perentorio: questo è uno dei migliori album della storia della musica, e in subordine il migliore degli Shellac! Il brano scelto è volutamente contro-corrente rispetto alla corrente impetuosa e mefistofelica che attraversa l’intero album (freddo-calda, razionale-emotiva, sensuale-meccanica); il brano scelto è, per questo, da solo, una storia, un altro album, un’incursione degli Slint nel mondo Shellac, un mondo lacustre e silenzioso, adamantino e visionario… che viaggio!
  • Slint - Washer  (Spiderland, 1991) Dopo gli Shellac che fanno gli Slintmi pare doveroso chiudere con gli Slint che fanno se stessi! Gli Slint sono una stella cadente, di quelle che vengono giù con la coda da cometa, una scia verde che brilla ancora a lungo nel cielo dopo che è scomparsaun EP e due album fra cui “uno dei migliori album della storia della musica” (cit. post precedente). Mi rendo conto che possa apparire sospetto trovare in un unico post due dei migliori album della storia della musica, ma ribadisco che, pur in tempi di crisi, l’iperbole resta gratis… Quindi prendetela per buona e magarise già non lo avete fatto, ascoltate Spiderland, fin dalla copertina (sì, pure quella si ascolta) e fatelo mentre siete in macchina, di notte, magari un po’ alticci irrimediabilmente illanguiditi da, che ne so… pensieri tipo “i vent’anni non torneranno più, omioddio” o “i vent’anni non torneranno più, meno male” (va bene anche alzare l’asticella con interrogativi amletici “che senso ha tutto questo?” o ne verrò a capo prima o poi?”) quando a un certo punto prenderete quella strada buia che chissà dove porta, perché chi guida inseguendo i suoi pensieri di notte prima o poi finisce in una strada buia che chissà dove porta, alzate il volume dell’autoradio e selezionate la traccia 4. E presto, languore dopo languore, nota dopo nota, lacrima dopo lacrima, vi ritroverete alla fine di quella strada e… ecco, mi avete scoperto: sono un sentimentale senza speranza!

lunedì 17 giugno 2013

La tripletta di Marcello Gurrieri

Primo, eccezionale ospite! Marcello Gurrieri sfodera per noi una tripletta interamente incentrata sui Cult, gruppo anni '80 veramente troppo ehm... cult!
  • Dreamtime - Cult (Dreamtime, 1984) E' la canzone che da il titolo e che meglio riassume l’album di esordio della band inglese nata dall’esperienza Southern Death Cult e Death Cult. Un album caratterizzato da ballate dark e da una traccia lontana del sound gothic tipico dei loro inizi. Dreamtime è un’ossessiva e coinvolgente incitazione rock al “tempo dei sogni” da preservare (“the only thing untouched that’s mine), esattamente come è da preservare la propria identità ("I will wear my hair long, an extension of my heart").
  • Revolution - Cult (Love, 1985)  “Is the town for revolution? Is the town for the revolution?” E’ il 16 marzo del 1987, e la domanda gridata di Ian Astbury, rivolta al pubblico in delirio dell’Hammersmith Odeon di Londra, è l’introduzione ad uno dei pezzi più coinvolgenti scritti dalla coppia d’assi Ian Astbury/Billy Duffy. I Cult cantano la rivoluzione personale, la rivoluzione dei cambiamenti, la rivoluzione dei sogni che non hanno fine, cantano un grido di ribellione alla società patinata degli anni ’80. “Revolution” è una canzone melodica che esplode, nel ritornello, in un potente coro liberatorio: “There’s a revolution!”. Questa canzone rappresenta perfettamente Love, album che riscosse notevole successo di critica e pubblico, e che sancì la raggiunta maturità della band a livello di suoni e di composizione. Sonorità accattivanti, ballate dark e rock tiratissimi: probabilmente l'apice della creatività dei Cult.
  • Wild flower - Cult (Electric, 1987) Chi aveva amato l’album “Love” fu sconvolto da “Electric”. I Cult avevano rivoluzionato la propria musica. Abbandonati dark e gothic sound, la band butta sul tavolo le carte dell’hard rock, in pieno stile AC/DC, e lo fa benissimo. “Wild flower” è uno dei singoli di maggior successo dell'album. Una storia d’amore raccontata con la potenza e la velocità di un missile. Un arrangiamento essenziale tipicamente hard - basso, chitarre elettriche e batteria - per un pezzo tiratissimo sin dall’inizio che sul finale regala una vera e propria detonazione adrenalinica: “Crazy ‘bout you yeah”, ripetuto quattro volte di fila, per chiudere poi all’unisono in un finale secco che lascia senza fiato e con un senso di totale appagamento.

    Marcello Gurrieri