sabato 30 novembre 2013

Week 48/13 - una quieta tripletta d'attesa


  • Alle prese con una verde milonga - Paolo Conte (Paris Milonga, 1981) Mentre attendo che tutto accada, io tiro le somme. Ripenso a quello che ero, a quello che sono, a quello che ho fatto e a quello che ancora devo fare. E così capisco che alla fine, se sono qui, è solo per suonare, per amare e, di nascosto, per danzare. Sempre, fino alla fine.
  • Julia - Beatles (The Beatles, 2013) Si rimane figli anche quando tutto cambia. Quando arrivano i soldi, quando arriva la fama, quando arrivano i tuoi di figli. Si rimane figli anche quando ormai è troppo tardi, e ciò che ti resta da fare è scrivere una canzone per tutte le Julie di sempre.
  • Sunday Sun - Beck (Sea change, 2002) E poi ci sono i groppi alla gola, e quelli al cervello. C'è un flusso enorme di parole, informazioni, emozioni, pensieri, idee, ripensamenti, insulti, urla da voler vomitare, senza però riuscirci. Viene voglia di sbattersi la testa contro il muro per stappare il tappo, e far scorrere tutto via, o semplicemente per distrarre le emozioni con qualcosa di ancora più forte. E vorresti che fosse sempre domenica, e le cose fossero sempre chiare, cristalline, quiete e possibili, come appare sempre tutto sotto al tiepido sole novembrino.

giovedì 21 novembre 2013

Week 47/13 - una tripletta per il piccolo Leonardo.


  • Dispetto - Virginiana Miller (Fuochi Fatui d'Artificio, 2005) Qualche estate fa, in vacanza al mare, alloggiai in un posto di pazzi, ma di pazzi quelli veri intendo: pazzi di quelli che ti fanno venire voglia di vivere, di sorridere, di cercare, di essere felici, insomma, pazzi. E fra questi pazzi ce n'era uno particolarmente simpatico che non ti guardava mai in faccia quando parlava, e che teneva sempre una chitarra in mano, la sua o quella di qualche altro pazzo. E una sera, questo pazzo, mi disse sottovoce, mentre beveva un amaro siciliano, lui che di siciliano aveva solo la pazzia: Vedi Angelo, è ovvio che i Virginiana Miller siano il miglior gruppo pop in Italia, e di conseguenza anche il più sottovalutato. E poi ha ricominciato a suonare la sua chitarra o quella di un altro pazzo. E fu allora che io, anche se non avevo mai ascoltato i Virginiana Miller in vita mia, cominciai a difenderli a spada tratta, senza minimamente pormi il problema se fidarmi o meno di un simpatico sconosciuto completamente pazzo. Ora so di aver fatto bene.
  • And the glitter is gone - Yo La Tengo (Popular song, 2009) Ho provato a dare una nuova chance a Popular song dei miei Yo La Tengo, e per questo da settimane lo ascolto come fosse una medicina: due volte al giorno, con gli occhi e il naso tappati. Ed è proprio uno schifo. Però, a voler perseverare nella cura, alla fine qualcosa di buono si ottiene: quindici minuti di maestoso bordello avvolto attorno ad un riff sospeso a mezz'aria, come a chiedere scusa, come a ricordare che a volte ci si ammala, si, ma poi, spesso, si guarisce anche, e si sta meglio di prima...
  • 3x3 - Lydia Lunch and Retrovirus (Retrovirus, 2013) Kim Gordon, Kim Deal, Nico, Giovanna Cacciola, Bilinda Buthcher, Lydia Lunch. Non esiste e non è mai esistita (per il futuro, nessuna previsione) altra donna nel rock al di fuori delle sopra-riportate. Grazie.

venerdì 15 novembre 2013

Week 46/13

  • When you sleep - Shonen Knife (Yellow Loveless, 2013) Deve necessariamente esserci un filo conduttore fra i My Bloody Valentine e il paese del sol levante, oltre Sofia Coppola e il suo Lost in Translation ovviamente, altrimenti non si spiegherebbe come mai, un pugno di illustri musicisti giapponesi, provenienti per lo più dall'area noise-shoegaze, abbia deciso di omaggiare il favoloso Loveless replicandone, ognuno a modo proprio, l'intera scaletta. Ok, non è che l'operazione in se sia del tutto esaltante - un album tributo è quasi sempre una vera e propria cacata - ma ascoltare con un sorriso sulle labbra questa fumettistica cover di When you sleep mi ha fatto chiedere davvero: ma non è che forse è meglio dell'originale? E mi ha fatto rispondere: no, col cazzo, ovviamente no che non lo è. Ma è troppo forte!
  • We're sinking - Mark Sultan aka BBQ (The Sultanic Verses, 2007) Paffuto e sudaticcio nel suo sari viola, Mark Sultan se ne stava da solo in un angolo, ingobbito su chissà quali malinconici pensieri. Aveva appena finito di intrattenerci cantando, suonando la sua chitarra consunta, pestando la minuscola batteria, ma sembrava già un'altra persona rispetto a prima. Se ne stava li da solo, a bere birra e a guardarsi i piedi, quando senza volerlo sono inciampato sulla sua solitudine. O forse lui è inciampato nella mia. Non so chi dei due si è avvicinato per primo, ma fatto sta che neanche ci siamo stretti la mano che lui aveva già la penna sulla locandina che gli avevo allungato, e disegnava cornicchi, cicatrici e occhiali proprio sulla sua stessa sorprendente faccia. Come si fa sui santini delle elezioni... poi ha scarabocchiato un GRAZI! da una parte e un MARK S. dall'altra, un cuore, un pac-man e un aeroplanino di carta in mezzo, mi ha restituito la locandina e mi ha fatto un inchino. Mi ha chiesto se poteva tenersi la penna e io gli ho detto di si. Sono tornato a casa, mi sono sdraiato sul divano,  e ho ripensato al malinconico Mark. Che cazzo, mi sono detto poi, allora anche i musicisti garage possono essere malinconici... 
  • Swallowtail - Lemon's chair (I hate? I hope?, 2010) E' stato ascoltando questi Lemon's chair che ho capito qual è il legame fra i My Bloody Valentine e il Giappone, ed è così semplice che quasi mi vergogno a spiegarlo. Il fatto è che la musica di Kevin Shields e soci mette assieme rumore industriale e melodie dream, creando un suono palpabile ma sospeso a mezz'aria, e il Giappone che conosciamo noi mette assieme frenesia sociale e la quiete antica di una cultura che molto coltiva l'anima, creando un mondo concreto ma sospeso nella innervsion. In Giappone, insomma, il terreno era fertile perchè le radici dello shoegaze potessero attecchire solidamente, nonostante le origini europee. Un pò come il blues in America, il walzer in Austria e la tarantella in Sicilia...

sabato 9 novembre 2013

Week 45/13


  • Corso Trieste - I Cani (Glamour, 2013) Paralizzato. Ecco come mi sono sentito la prima volta che mi sono trovato al cospetto di questa canzone: paralizzato. Paralizzato perchè era la canzone nuova di un gruppo che poteva solo deludermi. Paralizzato perchè secondo i miei standard sonori avrebbe dovuto farmi schifo e invece mi piaceva sempre di più man mano che si sviluppava sotto le mie orecchie. Paralizzato perchè Niccolò Contessa non ha neanche 30 anni (ne 29, ne 28 e forse manco 27) e si permetteva di parlare di nostalgia senza però irritarmi a morte ad ogni singola parola. Paralizzato perchè questa canzone è proprio bella e a me, I Cani, piacciono da morire.
  • Reflektor - Arcade Fire (Reflektor, 2013) Come mi sono sentito invece davanti al nuovo album degli Arcade Fire? Annoiato. Annoiato a morte, come non mi era successo neanche per i loro ultimi due album...
  • 4 Hours - Clock DVA (Clock DVA, 1981) Dico, non è che per forza uno può conoscere tutto tutto, ricordare i gruppi, le one-hit band di ogni stagione, sapere chi suonava con chi, quali artisti facevano parte di una scena e quali di un'altra... non è che uno può sapere chi ha esordito in Inghilterra per poi morire in America, chi ha prodotto quell'album e in quale studio, chi erano i session men salariati etc.. etc.. dico, non è che per forza uno può sapere tutto tutto, daccordo, ma questi Clock DVA, dico io, si può sapere perchè me li avete tenuti nascosti fino ad ora?

sabato 2 novembre 2013

Week 44/13 - una tripletta per il giorno dei morti, una tripletta per il morto Lou Reed.

Ecco alcune delle cose facilmente tangibili che Lou Reed ha fatto per me negli ultimi quarantacinque anni: ha scritto almeno dieci delle mie canzoni preferite; ha portato quasi all'estremo l'idea di violenza chitarristica; ha scritto, pubblicato e difeso a oltranza Metal Machine Music; ha ispirato Lester Bangs, Todd Haynes e Timothy Greenfield-Sanders nelle loro rispettive arti; ha suonato un concerto per me e pochi altri praticamente sotto casa mia; ha deciso di morire il giorno dopo il mio compleanno in modo da non rovinarmi i festeggiamenti di quest'anno e degli anni futuri.
Ed ecco alcune delle cose facilmente tangibili che io ho fatto per Lou Reed negli ultimi quarantacinque anni: ho comprato molti ma non tutti i suoi dischi; ho speso pochi spiccioli per vederlo in concerto assieme a pochi altri praticamente sotto casa mia; ho parlato della sua musica con gli occhi luccicanti ad amici, conoscenti e altri.
Ma ciò nonostante, il debito che avrò con lui, e con tutti gli altri artisti che uno dopo l'altro moriranno inevitabilmente nel corso dei prossimi anni, sarà sempre troppo grande anche solo per pensare di poterlo quantificare.