Week 40/14
- Daphnia - Yo La Tengo (I am not afraid of you and I will beat your ass, 2006) All'inizio storci il naso, non capisci cosa sta succedendo. E' l'introduzione del brano, così lontana e discreta, che ti sembra proprio shoegaze giapponese, con quel suo profumo silenzioso di foglie gialle e marroni. Poi noti che il disco scricchiola, più di quanto dovrebbe, ma presto capisci che non sono scricchiolii, quelli, sono passi discreti nella pioggia, che vanno, che vengono, e che poi spariscono, senza che tu te ne accorga. Poi le orecchie ti si fissano su un pianoforte che non sai quando è arrivato, che forse c'è sempre stato, sin dal primo secondo, ed eri tu che eri distratto dai passi nella pioggia e non l'hai sentito. Provi allora ad inseguirlo, sembri riuscirci, ma poi incespichi, cadi, ed è qui che rimani senza fiato, e non sai neanche per quanto tempo. Il piano si allontana, nella spirale distorta di una chitarra che si lamenta, e non riesci ad acchiapparlo. Il piano ora è un'arpa, o tale sembra. Il piano ora è silenzio. Il piano ora è una coda che si spegne senza troppo disturbo. Tu ora non storci più il naso, mentre la canzone finisce, ora hai capito cosa è successo. Ora sai che i tuoi Yo La Tengo sanno farti anche questo.
- Happy togheter - Turtles (Happy togheter, 1967) E' inutile, ci sono cose che abbiamo scolpite nel DNA, scritte nella ROM del nostro cervello ancora prima di essere concepiti, quando siamo solo girini impazziti che aspettano la loro chance, che sono il nostro bagaglio culturale atavico: chi si ricorda la prima volta che ha sentito Michelle dei Beatles, o Born in the USA di Springsteen? Io no. Eppure, anche se sono canzoni che, razionalmente, non mi fanno neanche impazzire, appena mi capita di sentirle, soprattutto se inaspettatamente, mi mettono su un frullato di sensazioni difficile da spiegare: orgoglio, serenità, sicurezza, altro ancora. Questo vale anche per Happy togheter dei Turtles: che salti fuori nel bel mezzo de Il ladro di orchidee, o che buchi la radio la mattina quando mi trascino in bagno pieno zeppo di sonno, riesce sempre a riappacificarmi col mondo. E, ancora più importante, con me stesso.
- Like a rolling stones - Bob Dylan (Highway 61 revisited, 1965) In questi giorni ho letto un libro di Nick Hornby, Come diventare buoni, che insegna come rimanere pezzi di merda senza sentirsi in colpa facendo leva sul fatto che, chi più chi meno, siamo tutti pezzi di merda ipocriti. Ecco, io non lo so se sono pezzo di merda più o meno degli altri, ma ora, grazie a Nick Hornby, posso gridare a tutto il mondo, senza sentirmi in colpa, che non solo Bob Dylan mi fa schifo, ma anche che questa canzone è solo una noiosissima litania con un testo banale e buono, troppo buono, a prescindere delle cazzate di cui parla, che mi fa venire la nausea ogni volta che l'ascolto o che qualcuno la cita. Oh! Grazie Nick, grazie! Mi hai reso un pezzo di merda migliore!
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