- Misread - Kings of Convenience (Riot on an empty street, 2004) Mi stranisce che questa canzone finisca per la prima volta solo oggi fra le righe di questo scellerato blog. Eppure, è una delle mie preferite. E c'è un motivo, anche se è un po' difficile da spiegare. Ha a che fare con la geografia. E con gli stereotipi. Diciamo che anche al primo ascolto, non si può non capire che questa canzone viene dal nord. Da molto nord. Trasmette una sensazione di calda pace che richiama posti come Olanda, Belgio, Danimarca e, ovviamente, Norvegia. Richiama piccoli uomini e piccole donne che vivono in case dai pavimenti in legno - su cui si può camminare sempre scalzi - e termosifoni sempre a palla - da sonnolenza. Prati assolati da un sole glaciale e scintillante. Autobus puntuali. Birra, funghi in padella e suicidi. Ecco, ve l'avevo detto che era una questione di geografia e stereotipi...
- Dreams - TV on the Radio (Desperate youth, bloodthirsty babes, 2004) Sarebbe ridicolo provare a trovare qualcosa di nuovo da dire su ogni canzone dei TOTR che scopro mi piaccia. Fate un po' voi, datevi da fare, toglietemi un peso di dosso: ascoltate, per favore, la batteria, che non è rock, non è rap, non è niente. Ascoltate quella specie di bassa sega elettrica che ritaglia il perimetro dell'intero pezzo. Ascoltate quella voce di Tinde cosi bizzarra, cosi diversa da quelle in giro (ma in senso piacevole, mica come il tizio che canta nei CYHSY)... insomma, fate un po' voi! Ascoltate, fatevene un'idea e scriveteci qualcosa!
- Collagen rock - Mclusky (Mclusky do Dallas, 2002) Ciò che ci sento io qua dentro? Beastie Boys, Fugazi, Sonic Youth, qualcosina-ina-ina di Shellac, di Pixies e di qualcos'altro ancora che non riesco a identificare. Eppure, ad ascoltare bene bene, tutto ciò che sento dentro questa canzone è Mclusky: una band personalissima e sottovalutata, capace di imitare ma difficile da imitare. Love them!
- Clowns - Goldfrapp (Seventh tree, 2008) Ho passato l'ultima settimana in un posto che chi mi conosce potrebbe benissimo definire come quanto di più vicino al mio personale inferno: un villaggio turistico. Un vero villaggio turistico. Con tanto di animatori. Con tanto di mini-club. Con tanto di gente scoppiata da tutta la Francia. Di piscina. Di bambini molesti. Di adulti molesti. Simpaticoni. Gente troppo bianca per esistere davvero. Case di plastica. Cucine di plastica. Cessi open space. Vicini di appartamento. Alcol scadente. Mini-market tipo furto autorizzato. Gatti emaciati che venivano a chiedere la carità. E poi, ancora, musica latina sparata dappertutto, orari per tutto, per mangiare, per bere, per bagnarsi, per uscire, per rientrare. Un vero inferno. Ma la cosa peggiore fra tutte queste è stata la colonna sonora che mi sono auto inflitto per una settimana per non disturbare le povere orecchie dei miei simpaticissimi vicini di casa troppo bianchicci per esistere davvero che, al contrario di me, in quel villaggio turistico, in quel vero villaggio turistico ci sguazzavano beatamente: questo noiosissimo album di Goldfrapp del 2008. Probabilmente l'unico noioso di tutta la loro carriera. Probabilmente l'unico album che avrei potuto davvero scegliere come colonna sonora per questa vacanza.
- To hell with good intentions - Mclusky (Mclusky do Dallas, 2002) E dire che, proprio la sera prima di consegnarmi in quell'inferno, avevo scoperto questo gruppo gallese che risulta essere fra i preferiti e fonte di ispirazione dei miei amati Girl Band e ora anche per me. Quello che capii quella sera? Intanto, che se provo noia per Metz, Idle & co, c'è un logico e sensato motivo per quanto fino a quel momento inconscio. Poi, che le canzoni pop possono essere profetiche. Cazzo se possono esserlo...
- Meglio - Andrea Laszlo De Simone (Uomo donna, 2017) Al ritorno poi, giusto perché l'inferno è più che altro uno stato mentale, ecco che decido di continuare a fracassarmi le palle con roba che non mi piace, che non mi piacerà mai, che ascolto solo perché sennò non avrei una colonna sonora adatta per l'inferno o meglio, diciamo, che se ascoltassi altro forse non potrei più lamentarmi di essere all'inferno... insomma, è un po' come la depressione: se non ascoltassi De Simone, di cosa mi potrei più lamentare?
- Il mio D.J. - Subsonica (Microchip emozionale, 1999) Ecco cosa significa passare le vacanze con una bimba di neanche cinque anni: svegliarsi la mattina canticchiando un vecchio classico della propria giovinezza e rendersi conto che il ritornello micidiale io sono il mio DJ, passo le notti in questa città è diventato chissà quando io sono Pinky Pie, passo le notti a Ponyland. Che poi, non è il peggio. Il peggio è rendersi conto di desiderare modificare tutto il resto del testo secondo la nuova ambientazione, e per giunta esserne felici...
- Deathco - Black Bones (Kill kill, 2017) A proposito di noia, avevo davvero riposto tante aspettative in quest'album d'esordio dei Black Bones che mi avevano tanto deliziato al TINALS, tanto che l'avevo messo in cima alla priorità... invece, è pieno zeppo di canzoni come questa, inutili, già sentite, adatte per le feste di compleanno di nostalgici anni '70 e '80... e questo brano, a mio parere, è uno dei migliori, o meglio, uno dei più originali... boh, forse sono io che invecchio, velocemente, precocemente, inarrestabilmente... oppure è solo che io, come sempre, non ne capisco poi granché di ste cose...
- Staring at the Sun - TV on the Radio (Desperate youth, bloodthirsty babes, 2004) Vi spiego. Qui a Aix, oggi 1 agosto 2018, ci siamo svegliati con circa 40 gradi all'ombra; con meno tre giorni alle vacanze; con Giulietta che ogni cinque minuti vomitava in un differente letto o divano della casa. Quindi, con 40 gradi all'ombra, niente ufficio con aria condizionata per me e pronto soccorso pediatrico per lei. La città era vuota, cosi come lo era l'ospedale. L'asfalto fumava e il luccichio del sole riflesso ovunque mi faceva chiedere cosa ci facessi li, a mezzogiorno, a vagare per le strade arroventate. Come per risposta, ecco che all'improvviso il mio cervello comincia a riprodurre in loop questa canzone. Intervallata, tipo la pubblicità su Spotify, da una carrellata irriproducibile di male parole...
- Let the cool goddess rust away - Clap Your Hands Say Yeah (Clap your hands say yeah, 2004) Quest'album vanta indubbiamente un'invidiabile immersione totale. Ci si immerge con la prima canzone e se ne riemerge, a prendere aria, soltanto con l'ultima. Già non è cosa comune mantenere una coerenza simile in un album d'esordio e per di più qui si sono messe assieme, una dopo l'altra, canzoni proprio belle, ben scritte e ben suonate e non esattamente convenzionali. Basta ascoltare questa Let the cool goddess rust away per farsi un'idea. Come il resto dell'album, non è che colpisca subito al primo ascolto - voce sgraziata, testo da decifrare, scrittura solo apparentemente già sentita - ma si insinua poi a poco a poco, man mano che la fiducia reciproca artista-ascoltatore va ad aumentare. E questo, a mio parere, succede solo quando il lavoro è stato ben pensato e ben trattato. Insomma, per farla breve, se al primo ascolto st'album mi aveva fatto quasi cagare - troppo hipster, troppo biondo - adesso ho difficolta a toglierlo dalla playlist. Pur tuttavia, sembra che sia l'unico in famiglia ad apprezzarlo e quindi gli ascolti avvengono quasi in clandestinità. Eh già, che mala vita amici miei, che mala vita...
- Mire - Shannon Wright (In film sound, 2013) Beh, sembra che il ripasso stia andando per le lunghe. Forse è che in cd il suono è ovviamente migliore rispetto a Spotify e il mio sensibile orecchio se ne accorge, oppure è che finalmente posso ascoltarlo anche in macchia. O forse è che finalmente non c'è più quella rottura di palle della pubblicità! Fatto sta che grazie a questo reinserimento in playlist di In film sound sto assaporando adesso anche il nero dei brani che inizialmente mi erano sfuggiti, come quello di questa Mire. Ah, giuro, se non avessi in mezzo ai piedi due donne che alle 21 e 10 già dormono (da due ore) e dei vicini di casa così cacacazzi che mi hanno persino minacciato di ritenermi responsabile per qualsiasi cosa dovesse loro succedere, bisognerebbe proprio aspettare l'ora più nera della notte per poter sparare, ad adeguato volume, queste splendide perle rumoristiche. Una dopo l'altra e poi di nuovo daccapo.