- A day in the life - Beatles (Sgt Pepper's lonely hearts club band, 1967) Questo week-end è iniziato cosi', con un diluvio di emozioni al 3C di Aix grazie agli English Garden, una piccola tribute band dei Beatles. Ci siamo divertiti tutti, soprattutto Giulietta. Quando pero' in qualche rocambolesco modo questi tre francesi amanti dei fab4 hanno suonato una più che dignitosa A day in the life, allora devo ammettere che non era più esattamente divertimento quello che provavo. Era sbudellamento puro, erano lacrime difficili da trattenere, era illuminazione prematura (si fa per dire, è da 20 anni che ascolto e studio i Beatles). Dunque diventa chiaro: la differenza fra loro e tutto il resto del mondo pop è la solidità della scrittura, della composizione. Anche provando a massacrarle, non c'è verso di riuscire a rovinare le loro canzoni. La differenza fra loro e qualsiasi altro gruppo pop al mondo, passato presente e futuro, è che anche fra cento anni le serate tributo ai Beatles le loro 50 - 100 persone le faranno sempre. E potete scommetterci che ci sarà sempre qualcuno a cui scapperanno le lacrimuccie.
- Ask - The Smiths (Ask single, 1986) Il sabato dopo, cioè ieri, è stato un altro grande momento, da annoverare fra i top moments della mia vita. Presentazione alla libreria Book in bar di Aix dell'ultimo libro (bruttino) di Jonathan Coe, alla presenza dell'autore. Avevo già avuto modo, circa tredici anni fa, di incontralo in Sicilia per due incontri a Catania e Palermo, e ciò che ricordo più di ogni altra cosa è che, in entrambi i casi, sono riuscito a fare una figuraccia indimenticabile. Figuraccia su cui, mi dispiace, sorvolerò. Bene, dato questi presupposti, la mia intenzione per ieri era di ignorarlo, ovvero stare li ad ascoltarlo, farmi firmare un paio di libri e andarmene alla svelta dopo una stretta di mano e magari una foto, prima che scattasse in me la folle tentazione di dire o fare qualcosa di compromettente. Come non detto. Non ci sono riuscito. Non ho potuto fare a meno di infilarci in mezzo la solita figura di merda. Figura di merda su cui, anche questa volta, mi dispiace, ma sorvolerò.
- Locomotive vocale - Hugues Le Bars (J'en ai marre vol.2, 1990) Uh, ed ecco come finisce il week-end, con una scoperta che è poi un viaggio nel passato e in quel bagaglio di ricordi passivi che ci portiamo dietro fatti di spot pubblicitari, scampoli di conversazioni dei "grandi", immagini che non eravamo ancora in grado di capire ma che, per qualche motivo, ci hanno turbato e per questo le abbiamo conservate. A me, lo spot del Grand Marnier che girava a fine anni '80, mi rimarrà sempre impresso come esempio di bella vita, non di quella coi soldi e le Ferrari, ma bella vita libera, assieme alle persone libere, ai cavalli e, ovviamente, al Gran Marnier. Insomma quella bella vita in cui servono i soldi si, eccome, ma non si ostentano e per questo tutti pensiamo di potercela permettere e insommaaaaaa... evidentemente lo spot aveva fatto il suo dovere. Io a dieci anni, da grande, volevo vivere in quel modo. Comunque, a parte le belle donne, i cavalli e il Gran Marnier (ovviamente) ciò che mi colpi (e non fui il solo) fu la colonna sonora. Solo oggi scopro che si tratta di una composizione di un famoso e da poco defunto musicista francese, tale Hugues Le Bars, un po bizzarro, un po pazzoide, innamorato del cinema e, fra le altre cose, del Giappone. Beh, come dire, la lista delle cose da ascoltare tende all'infinito. Sembra scoraggiante, e in fondo lo è, ma è cosi e non possiamo farci niente. Bonne nuite!
- Cleveland - Algiers (The underside of power, 2017) Mi vanto di essere un fan della prima ora degli Algiers, c'ho persino l'adesivo attaccato sul sedile di Giulietta montato nella mia bici. Ma non per questo posso far finta che i miei timori non erano fondati riguardo l'album appena uscito, sotto ascolto proprio in questi giorni. Secondo la stampa è l'album definitivo, il lavoro che aspettavamo da anni, il miglior lp del decennio. Io non lo trovo brutto, per niente, ma come appunto temevo, lo trovo una copia estremizzata del precedente. Più politicizzato, più patinato, più appariscente, più finto. Non posso farci niente. Sicuramente Franklin James Fisher avrà il suo diritto di gridare quanto il mondo faccia schifo (e di farci i soldi) ma anche io avrò il mio di sussurrare quanto gli Algiers comincino a sembrarmi finti (e senza farci una lira).
- Adult diversion - Alvvays (Alvvays, 2014) Loro non saranno politicizzati ne patinati ne definitivi, ma il loro primo album ha una cosa in comune con il secondo degli Algiers: si sono ritrovati entrambi, in formato cd, nella mia cassetta delle lettere per diverse ore, cioè da quando il postino li ha infilati li dentro una una calda mattinata di qualche giorno fa fino a quando io li ho tirati fuori nell'afoso pomeriggio dello stesso giorno. Mai come ora mi pare di poter dire Il Sole e La Luna confrontando questi due album che il Destino ha voluto mettere insieme. Non sarà un capolavoro, non passerà alla storia, non sarà l'album rock definitivo ma questo esordio è quanto di più godibile giri in questo momento a casa mia dopo l'archiviazione dell'amica Fazerdaze. Un acquisto impulsivo che ha scavalcato liste di cd e priorità di ascolto, ma che alla fine mi sta dando estive soddisfazioni. A volte, ma solo a volte, non fa poi male seguire il proprio romantico istinto. Yeah!
- Ballin' the jack - Big Sexy Noise (Trust the witch, 2011) E a proposito di liste di cd e priorità d'ascolto, sono in ritardo clamoroso, dovrei andare un po' di fretta, rinunciare a qualche ascolto di qualche album che mi pare più deboluccio, eppure non ce la faccio. La prova? Questo album di Lydia Lunch & co. Non posso negare che sentirlo suonare dal vivo, per ben due volte, mi abbia completamente sconvolto, ma in versione studio mi annoia un po'. Non che sia brutto, tutt'altro, solo che è un po' anacronistico. Dovrei avere il coraggio di ringraziarlo, salutarlo e metterlo da parte, che nella fattispecie significherebbe cancellarlo dalla chiavetta usb e declassarlo nella playlist di iTunes. Eppure non ce la faccio, continuo ad ascoltarlo pensando, sperando!, che prima o poi arrivi il colpo di fulmine, la scossa definitiva. E' inutile, sono proprio un romantico senza speranza. Non troverò mai il coraggio di mandare Lydia Lunch all'ospizio.
- Celia's dream - Slowdive (Just for a day, 1991) Quello degli Slowdive era il live che più attendevo in questi due giorni di mare e amore che è stato il Pointu festival 2017, lo scorso week end, sull'Ile de Gaou. Beh, dire che mi sia strappato i capelli, è un po' esagerazione. Dire che mi sia commosso qua e la, è molto vicino a ciò che è davvero accaduto. Dire infine che anche senza l'autografo di e la foto con Neil Halstaed sarebbe comunque da annoverare fra i momenti aulici della mia vita è vero, eccome se è vero. Ma se dovessi anche dire che, nonostante tutto ciò, il live dei miei adorati Slowdive sia stato solamente il terzo più bello a cui abbia assistito in quei due giorni, ci credereste?
- Charm assault - Ride (Weather diaries, 2017) Infatti, ero già shoccato completamente dal frastuono atroce che avevano messo in scena la sera prima i Ride. Ora, non è che non li abbia mai apprezzati, che io i loro album li amo tutti e da sempre, ma avevo visto dei video in cui non mi sembravano molto a loro agio sul palco, un po' rigidi alle prese con le pedaliere e le pelli di tamburi. E invece, la vache, cos'hanno combinato in un'ora! Shoegazing a livello massimo, muri sonori all'altezza di chi, questo concetto, se proprio non lo ha inventato, sicuro ha contribuito a perfezionarlo. Strati sonori a volte acidi, a volte dream, sempre perfetti. Quando è finito ero completamente frastornato, consapevole, come non sempre succede, che era da collocare fra i migliori live a cui avevo mai assistito.
- Left/Right - Dinosaur Jr. (Give a glimpse of what yer not, 2016) Ammetto che c'è stato un momento in cui, dato l'orario previsto di inizio della performance dei Dinosaur Jr., dato un feroce scazzo con moglie e figlia accorse per godere anch'esse del live degli Slowdive, e dato infine che li avevo già visti per ben due volte di cui l'ultima proprio l'anno scorso a Nimes, avevo pensato di chiudere anticipatamente il mio Pointu festival 2017. Ma poi il destino mi ha fatto incontrare quattro conoscenti e connazionali, di cui uno con lo stesso sangue siculo e rock, che disgraziatamente non avevano mai visto suonare dal vivo J & Co. Beh, Frank Zappa diceva che scrivere di musica è come ballare di architettura. Per cui, dato che non trovo le parole per descrivere quello che è successo sull'Ile de Gaou fra mezzanotte e l'una e mezza del mattino del 10 luglio 2017, smetterò anche di cercarle, le parole, e lascio tutto alla vostra sensibile immaginazione.
- Thay'd name an age - USA Nails (No pleasure, 2015) Questi USA Nails hanno le chitarre nervose dei Sonic Youth, distorsioni che ricordano la lezione dei My Bloody Valentine e un cantante che potrebbe essere Dara Kiely dei Girl Band, eppure, il risultato finale, pur non essendo razionalmente disprezzabile, è di una noia mortale. In effetti il punto è: se ci sono già (stati) Sonic Youth, My Bloody Valentine e Girl Band, che bisogno c'è di una band che fa una centrifuga di tutto ciò, invece di seguire una propria idea di frastuono più atroce?
- J-Boy - Phoenix (Ti amo, 2017) C'è gente, fra cui mio cugino, Francesca, Giulietta e la maggior parte dei miei amici, che se sapessero cosa penso davvero di questa brillante canzone dei Phoenix mi sputerebbero in faccia, mi deriderebbero, mi metterebbero alla gogna su internet. Mi farebbero rileggere con metodo Ludovico tutti i post scritti finora, mi chiuderebbero in una gabbia lanciandomi file mp3 di scarsa qualità. E allora sapete che faccio, per evitare questa vergogna? Non ve lo dico, io, quello he penso davvero di questa brillante canzone dei Phoenix...
- The agency group - Alvvays (Alvvays, 2014) Questa canzone mi ricorda Michelle dei Beatles. Lo so, lo so che non c'entra niente ma, come la canzone di Paul e John, sembra scritta nel DNA della razza umana, tanto è orecchiabile, essenziale e piacevolmente prevedibile. Mi ha preso e stordito sin dal primo ascolto e già solo per questo, come se non amassi già le altre canzoni che conosco del gruppo, sono corso (metaforicamente) a ordinare l'album da uno dei miei spacciatori di fiducia del web. Vi terrò informati se il paragone ardito di cui sopra potrà essere consistentemente esteso a tutto l'album d'esordio degli Alvvays o se, come al solito, questo post rimane uno dei miei vaneggiamenti dettati dal troppo alcol, dall'ansia di prestazione e da un infantile entusiasmo di cui non mi libererò mai.