Week 24/13 - una tripletta nostalgica
- 1979 - Smashing Pumpkins (Mellon Collie and the infinite sadness, 1995) Di questa canzone mi piace lo scricchiolio elettronico che si sente all'inizio, che si ripresenta un attimo prima l'ultima strofa e che poi conclude tutto, trascinandomi ormai stordito fuori da ogni emozione. Di questa canzone mi piace il ritmo secco della batteria sotto il basso, un basso così rotondo e morbido che quasi viene voglia di mangiarlo. Mi piace la chitarra che si gonfia di orgoglio un attimo prima l'intrusione di quella tastiera che ha il compito fondamentale di malinconizzare e profumare i ritornelli. Mi piace la voce rauca e acuta di Billy Corgan, le parole che gli escono di bocca (junebug, shakedown, zipper blues) e il sorriso da iena pelata che sfodera nel video. Mi piace il titolo, mi piace la posizione che ha nell'abum e mi piace ascoltarla a tutto volume, anche due tre volte di seguito. Mi piace linkarla, shararla, segnalarla, consigliarla, zipparla, copiarla e scambiarla ma cazzo, ormai è evidente, non mi piace parlarne. Perchè questa canzone è così immensa ed esaustiva che a parlarne si possono dire solo profonde banalità. Quindi basta.
- Just like honey - Jesus and Mary chain (Psychocandy, 1985) Nel 1963, in America, Phil Spector stravolse le regole del pop costruendo una hit da classifica attorno al Wall of sound di sua recente invenzione. La canzone era "Be my baby", delle Ronettes, e la conosciamo tutti: una smielata dichiarazione d'amore sussurrata sopra un morbido muro sonoro mai neanche immaginato prima. Ventidue anni dopo, in Scozia, due irrequieti fratelli con i capelli osceni e una sfrenata passione per i concerti che finiscono in rissa, decidono di rifare la stessa identica canzone, cambiandone solo il testo ed evolvendo il Wall of sound spectoriano in un Wall of noise di feedback chitarristici. Il risultato è un delirio: una cascata di morbido rumore arancione che cade a pioggia dal cielo e un micidiale ritornello che si insinua nel cervello peggio di un acido. E dopo di allora, così come era avvenuto due decenni prima, niente è stato più del tutto uguale a prima.
- Sometimes - My Bloody Valentine (Loveless, 1991) C'è stato un momento nella mia vita in cui ho realizzato che, fondamentalmente, a me piace il frastuono più atroce. Paradossalmente, questo momento, lo posso collocare nel bel mezzo della visione di Lost in Translation, nella cui colonna sonora, questo gioiello nero dei My Bloody Valentine, fa la sua porca figura. E pensare che a me era sembrato solo un atipico pezzo pop vagamente grunge, un brano semi-acustico in cui l'ingegnere del suono aveva sbagliato a mixare musica e cantato! Che errore, che errore! In realtà, anche se prima di capirlo sono passati anni a sfondarmi orecchie e cervello, Sometimes, è il sogno di ogni rumorista che sia mai comparso sulla terra, da Lou Reed a Glenn Branca, da Lee Ranaldo ad Agostino Tilotta: imbrigliare il rumore fino a tirarne fuori una sognante melodia, realizzare una delicata linea elettrica senza farla esplodere mai nonostante l'esplosione sembri sempre inevitabile. Tutti vorrebbero scrivere qualcosa del genere, ma a riuscirci è stato solo Kevin Shields. Ed è anche per questo, come una volta mi disse il mio amico Adriano, che, se lo incontrassi per strada, me lo porterei di corsa a casa, lo imbalsamerei nel suo sorriso migliore, e lo metterei sopra il comodino al posto dell'abat jour, pregandolo ogni mattina di illuminarmi col suo genio.
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