Primo, eccezionale ospite! Marcello Gurrieri sfodera per noi una tripletta interamente incentrata sui Cult, gruppo anni '80 veramente troppo ehm... cult!
- Dreamtime - Cult (Dreamtime, 1984) E' la canzone che da il titolo e che meglio riassume l’album di esordio della band inglese nata dall’esperienza Southern Death Cult e Death Cult. Un album caratterizzato da ballate dark e da una traccia lontana del sound gothic tipico dei loro inizi. Dreamtime è un’ossessiva e coinvolgente incitazione rock al “tempo dei sogni” da preservare (“the only thing untouched that’s mine), esattamente come è da preservare la propria identità ("I will wear my hair long, an extension of my heart").
- Revolution - Cult (Love, 1985) “Is the town for revolution? Is the town for the revolution?” E’ il 16 marzo del 1987, e la domanda gridata di Ian Astbury, rivolta al pubblico in delirio dell’Hammersmith Odeon di Londra, è l’introduzione ad uno dei pezzi più coinvolgenti scritti dalla coppia d’assi Ian Astbury/Billy Duffy. I Cult cantano la rivoluzione personale, la rivoluzione dei cambiamenti, la rivoluzione dei sogni che non hanno fine, cantano un grido di ribellione alla società patinata degli anni ’80. “Revolution” è una canzone melodica che esplode, nel ritornello, in un potente coro liberatorio: “There’s a revolution!”. Questa canzone rappresenta perfettamente Love, album che riscosse notevole successo di critica e pubblico, e che sancì la raggiunta maturità della band a livello di suoni e di composizione. Sonorità accattivanti, ballate dark e rock tiratissimi: probabilmente l'apice della creatività dei Cult.
- Wild flower - Cult (Electric, 1987) Chi aveva amato l’album “Love” fu sconvolto da “Electric”. I Cult avevano rivoluzionato la propria musica. Abbandonati dark e gothic sound, la band butta sul tavolo le carte dell’hard rock, in pieno stile AC/DC, e lo fa benissimo. “Wild flower” è uno dei singoli di maggior successo dell'album. Una storia d’amore raccontata con la potenza e la velocità di un missile. Un arrangiamento essenziale tipicamente hard - basso, chitarre elettriche e batteria - per un pezzo tiratissimo sin dall’inizio che sul finale regala una vera e propria detonazione adrenalinica: “Crazy ‘bout you yeah”, ripetuto quattro volte di fila, per chiudere poi all’unisono in un finale secco che lascia senza fiato e con un senso di totale appagamento.Marcello Gurrieri
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