- Junk of the heart - Kooks (Junk of the heart, 2011) Non credo di dover dare spiegazioni sul perchè questa settimana ho deciso di postare solo questa canzone, stupida, insulsa e con con un ritornello così banale che è impossibile non canticchiarlo sorridenti per giorni e giorni... non credo di dover dare spiegazioni e quindi, vi prego, pensate pure quello che volete, ma lasciatemela fischiettare in santa pace, almeno fino al 27 novembre (data presunta).
In queste insufficienti righe riporterò ogni settimana tre canzoni sotto ascolto, consigliate o da evitare, coinvolgendo e mettendo in imbarazzo figure più o meno note dei paraggi. Buon ascolto, se mi date fiducia! Angelo E. Pulichino
venerdì 28 giugno 2013
Week 26/13 - una week speciale ed estenuante
lunedì 17 giugno 2013
Week 25/13
- Bricks and Mortar - Editors (In this light and on this evening, 2009) Sono stato il primo a sentire gli Editors, io. E mi ricordo perfettamente quando è stato: 12 luglio 1981. Avevo solo tre anni, e mi hanno fatto subito schifo.
- Sing - Blur (Leisure, 1991) Nel mondo della narrazione c'è una regola fondamentale secondo la quale, l'autore, è tenuto a fornire al pubblico, fin dai primi momenti, tutti gli strumenti/indizi utili per comprendere inequivocabilmente la storia presentata. Per questo, le prime scene di un film, o le prime righe di un libro, sono solitamente le ultime ad essere scritte: perchè anticipano (e riassumono) l'intera opera. Riascoltando questa canzone del loro primo album, dopo aver assimilato l'intera discografia dei Blur, ho avuto la stessa sensazione narrativa: la presenza di una miriade di indizi su tutto ciò che il quartetto - poi terzetto, poi di nuovo quartetto - inglese avrebbe fatto nei successivi ventidue anni: c'è il mood pop anni '60, ci sono le sonorità sbilenche e a tratti esotiche, c'è un capriccioso feeling garage (che forse avrebbero dovuto esplorare di più) e c'è perfino un testo brevissimo che copre solo i primi dei sei minuti di durata complessiva della canzone. Ecco, tutta la loro magnifica storia era già stata scritta fin dalle prime scene, anche se io non potevo saperlo. Sapevo solo che, album dopo album e canzone dopo canzone, cresceva sempre di più la mia sensazione di familiarità col gruppo e l'inconscia e rassicurante sensazione di conoscerli come le mie tasche, nonostante il loro percorso artistico non sia sempre stato prevedibile. E tutto questo per merito della riassuntiva, anticipatrice e magnifica Sing.
- Music won't save you - Suuns (Images du futur, 2013) Chiudere un album chiamato Images du futur con una canzone del genere potrebbe non lasciare molto spazio all'ottimismo: elettronica minimalista, un nuovo concetto di dark music, un testo criptico e un epitaffio per titolo e ritornello: la musica non vi salverà. Sembrerebbe tutto chiaro (o meglio, scuro), ma i Suuns non sarebbero enormi se, quasi a fine canzone, non facessero abilmente marcia indietro, delegando al loro genio il compito di contraddirli. Una risata sommessa, un battere di mani lontano, poi di nuovo quella risata, più lunga e sguaiata, per ridicolizzare quell'epitaffio, per impennare all'improvviso l'umore, per accendere in quel vortice infernale una piccola luce di speranza per il futuro. Music won't save you, ah ah ah... music won't save you, ah ah ah!
La tripletta di Marcello Gurrieri
Primo, eccezionale ospite! Marcello Gurrieri sfodera per noi una tripletta interamente incentrata sui Cult, gruppo anni '80 veramente troppo ehm... cult!
- Dreamtime - Cult (Dreamtime, 1984) E' la canzone che da il titolo e che meglio riassume l’album di esordio della band inglese nata dall’esperienza Southern Death Cult e Death Cult. Un album caratterizzato da ballate dark e da una traccia lontana del sound gothic tipico dei loro inizi. Dreamtime è un’ossessiva e coinvolgente incitazione rock al “tempo dei sogni” da preservare (“the only thing untouched that’s mine), esattamente come è da preservare la propria identità ("I will wear my hair long, an extension of my heart").
- Revolution - Cult (Love, 1985) “Is the town for revolution? Is the town for the revolution?” E’ il 16 marzo del 1987, e la domanda gridata di Ian Astbury, rivolta al pubblico in delirio dell’Hammersmith Odeon di Londra, è l’introduzione ad uno dei pezzi più coinvolgenti scritti dalla coppia d’assi Ian Astbury/Billy Duffy. I Cult cantano la rivoluzione personale, la rivoluzione dei cambiamenti, la rivoluzione dei sogni che non hanno fine, cantano un grido di ribellione alla società patinata degli anni ’80. “Revolution” è una canzone melodica che esplode, nel ritornello, in un potente coro liberatorio: “There’s a revolution!”. Questa canzone rappresenta perfettamente Love, album che riscosse notevole successo di critica e pubblico, e che sancì la raggiunta maturità della band a livello di suoni e di composizione. Sonorità accattivanti, ballate dark e rock tiratissimi: probabilmente l'apice della creatività dei Cult.
- Wild flower - Cult (Electric, 1987) Chi aveva amato l’album “Love” fu sconvolto da “Electric”. I Cult avevano rivoluzionato la propria musica. Abbandonati dark e gothic sound, la band butta sul tavolo le carte dell’hard rock, in pieno stile AC/DC, e lo fa benissimo. “Wild flower” è uno dei singoli di maggior successo dell'album. Una storia d’amore raccontata con la potenza e la velocità di un missile. Un arrangiamento essenziale tipicamente hard - basso, chitarre elettriche e batteria - per un pezzo tiratissimo sin dall’inizio che sul finale regala una vera e propria detonazione adrenalinica: “Crazy ‘bout you yeah”, ripetuto quattro volte di fila, per chiudere poi all’unisono in un finale secco che lascia senza fiato e con un senso di totale appagamento.Marcello Gurrieri
giovedì 13 giugno 2013
Week 24/13 - una tripletta nostalgica
- 1979 - Smashing Pumpkins (Mellon Collie and the infinite sadness, 1995) Di questa canzone mi piace lo scricchiolio elettronico che si sente all'inizio, che si ripresenta un attimo prima l'ultima strofa e che poi conclude tutto, trascinandomi ormai stordito fuori da ogni emozione. Di questa canzone mi piace il ritmo secco della batteria sotto il basso, un basso così rotondo e morbido che quasi viene voglia di mangiarlo. Mi piace la chitarra che si gonfia di orgoglio un attimo prima l'intrusione di quella tastiera che ha il compito fondamentale di malinconizzare e profumare i ritornelli. Mi piace la voce rauca e acuta di Billy Corgan, le parole che gli escono di bocca (junebug, shakedown, zipper blues) e il sorriso da iena pelata che sfodera nel video. Mi piace il titolo, mi piace la posizione che ha nell'abum e mi piace ascoltarla a tutto volume, anche due tre volte di seguito. Mi piace linkarla, shararla, segnalarla, consigliarla, zipparla, copiarla e scambiarla ma cazzo, ormai è evidente, non mi piace parlarne. Perchè questa canzone è così immensa ed esaustiva che a parlarne si possono dire solo profonde banalità. Quindi basta.
- Just like honey - Jesus and Mary chain (Psychocandy, 1985) Nel 1963, in America, Phil Spector stravolse le regole del pop costruendo una hit da classifica attorno al Wall of sound di sua recente invenzione. La canzone era "Be my baby", delle Ronettes, e la conosciamo tutti: una smielata dichiarazione d'amore sussurrata sopra un morbido muro sonoro mai neanche immaginato prima. Ventidue anni dopo, in Scozia, due irrequieti fratelli con i capelli osceni e una sfrenata passione per i concerti che finiscono in rissa, decidono di rifare la stessa identica canzone, cambiandone solo il testo ed evolvendo il Wall of sound spectoriano in un Wall of noise di feedback chitarristici. Il risultato è un delirio: una cascata di morbido rumore arancione che cade a pioggia dal cielo e un micidiale ritornello che si insinua nel cervello peggio di un acido. E dopo di allora, così come era avvenuto due decenni prima, niente è stato più del tutto uguale a prima.
- Sometimes - My Bloody Valentine (Loveless, 1991) C'è stato un momento nella mia vita in cui ho realizzato che, fondamentalmente, a me piace il frastuono più atroce. Paradossalmente, questo momento, lo posso collocare nel bel mezzo della visione di Lost in Translation, nella cui colonna sonora, questo gioiello nero dei My Bloody Valentine, fa la sua porca figura. E pensare che a me era sembrato solo un atipico pezzo pop vagamente grunge, un brano semi-acustico in cui l'ingegnere del suono aveva sbagliato a mixare musica e cantato! Che errore, che errore! In realtà, anche se prima di capirlo sono passati anni a sfondarmi orecchie e cervello, Sometimes, è il sogno di ogni rumorista che sia mai comparso sulla terra, da Lou Reed a Glenn Branca, da Lee Ranaldo ad Agostino Tilotta: imbrigliare il rumore fino a tirarne fuori una sognante melodia, realizzare una delicata linea elettrica senza farla esplodere mai nonostante l'esplosione sembri sempre inevitabile. Tutti vorrebbero scrivere qualcosa del genere, ma a riuscirci è stato solo Kevin Shields. Ed è anche per questo, come una volta mi disse il mio amico Adriano, che, se lo incontrassi per strada, me lo porterei di corsa a casa, lo imbalsamerei nel suo sorriso migliore, e lo metterei sopra il comodino al posto dell'abat jour, pregandolo ogni mattina di illuminarmi col suo genio.
martedì 4 giugno 2013
Week 23/13 - una tripletta femminile per scorci di vita moderna
- Lola - Kinks (Lola vs Powerman and the Moneygoround, 1970) Immaginate di essere un ventenne a spasso per la swinging London di fine anni sessanta e immaginate di entrare in un club di Soho, con la vostra giacca perfetta e la cravatta col nodo stretto. Immaginate di bere champagne che sa di cherry cola e di danzare tutta la notte con Lola, che cammina come una donna e parla come un uomo. Immaginate di essere confusi, schifati, immaginate di scappare via e di tornare poi indietro. Immaginate di baciare Lola e di sentirvi uomini per la prima volta in vita vostra. Ci siete riusciti? Bene, significa che quel gigante di Ray Davies, troppo spesso messo in ombra da colleghi solo sulla carta più illustri, è riuscito nuovamente nella mirabolante impresa di dipingere un quadro a parole. E tutto questo nello spazio di quattro fra i più meravigliosi, inarrivabili ed elettrici minuti della storia della musica pop.
- Liezah - Coral (Magic and Medicine, 2003) "Althought she tore me apart there's still a place for that girl in my heart". Questa frase non è soltanto la chiave di lettura di questa atipica canzone d'amore del miglior gruppo pop degli anni 2000. Questa frase è la chiave di lettura di una vita intera, la resa finale all'idea che anche ciò che ci ha straziato fa parte di noi, e che dobbiamo comunque preservarlo e conservarlo. Perchè per toccare punti altissimi nel cielo, per poter continuare a saltare da una stella cadente ad un'altra, dobbiamo essere pronti a correre il rischio di cadere e farci male, e senza mai recriminare. Per questo dedico questa canzone a due persone: una è Andrea, il mio migliore amico, che ha deciso di vivere tutta la vita senza nessun rimpianto, l'altra sono io, che dal comodo della mia vita medio borghese sarò sempre disposto a fargli da rete di protezione.
- Matilda - Alt J (An awesome wave, 2012) Pur avendolo davanti agli occhi, l'unica cosa che capisco del testo di questa canzone, è che c'è un "from" esattamente dove mi aspettavo ci fosse un "for". Non è un errore, ovviamente, e neanche un'ingenuità. é solo che, nonostante siano giovanissimi, questi ragazzi inglesi hanno capito che mettersi al servizio degli altri può essere più importante della gloria personale. Forse Matilda e Johnny non faranno goal questa volta, forse calceranno maldestramente il pallone in curva. Ma certo non dimenticheranno mai lo splendido passaggio che gli Alt-J gli hanno fatto sotto rete nonostante fossero infortunati, nonostante le possibilità di segnare fossero nulle.
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